CASE FAMIGLIA

IN CASA FAMIGLIA SENZA MOTIVO: “MAMMA, TI PREGO, PORTAMI VIA”


Si parla molto in questo periodo di minori sottratti ai genitori e collocati in casa famiglia senza che si siano verificate le gravi condizioni che la legge impone per assumere simili traumatiche decisioni. Violenze, maltrattamenti, abusi sessuali, droga o incuria, sono infatti i mali estremi a cui la legge impone estremi rimedi.

Ma perchè, allora, sempre più spesso leggiamo di bambini strappati a un genitore o a tutti e due, quando nessuno di questi gravi motivi è presente?

Quasi quotidianamente assistiamo a programmi televisivi in cui ai racconti drammatici dei genitori si alternano dichiarazioni di giudici dei tribunali dei minori che negano con decisione la possibilità che un bambino possa essere strappato ai genitori per povertà o per banali liti fra coniugi separati o in via di separazione, “La legge non consente di togliere un figlio ai genitori in assenza di gravi motivi”, tuonano! .

Già, ma allora perchè i giornali sono pieni di storie tutte uguali in cui i bambini vengono privati anche con l’uso della forza pubblica di tutti i loro affetti per essere collocati in una casa famiglia? Cosa hanno fatto di male questi bambini per essere così duramente puniti? E che tipo di traumi provocherà in loro la perdita di tutti gli affetti? Il problema non sembra sussistere per le figure istituzionali che dovrebbero operare per “il bene supremo del minore”, a meno che i giudici non abbiano una concezione del “bene del minore” totalmente sconosciuta al resto della società civile.

Ma forse una spiegazione a quello che appare a tutti gli effetti un gigantesco e letale equivoco, possiamo trovarla in questo articolo di presentazione della comunità per minori “Il Ciliegio”, inaugurata nel 1995.

Proprio in occasione della sua apertura, il Corriere scriveva: ” Sulla Cassia inaugurata una casa famiglia per minori in difficoltà bambini in situazioni di disagio familiare, con genitori tossicodipendenti o prossimi alla separazione, potranno essere ospitati dalla casa famiglia “Il ciliegio” di via Lubriano 40, sulla Cassia, inaugurata ieri dall’assessore Amedeo Piva. La casa famiglia potrà ospitare 8-10 bambini che dovranno restare almeno un anno.”  – Pagina 46 (26 settembre 1995) – Corriere della Sera”

In questo articolo, incredibilmente si associano i genitori tossicodipendenti a quelli prossimi alla separazione, come se entrambe le categorie facessero parte del gruppo, per cui si rende necessario l’allontanamento di un minore dalla famiglia naturale. Inoltre, qui per la prima volta è indicato un periodo di permanenza minimo in casa famiglia: un anno. Qualcuno potrà obbiettare che non sempre i giornali riportano correttamente le notizie, ma se questo articolo le avesse invece riportate fedelmente, allora si aprirebbe finalmente uno squarcio nella nebbia che troppo spesso avvolge le decisioni dei vari tribunali dei minori, ovvero: la categoria dei genitori separati è di fatto entrata nel ristretto gruppo di quelle che “impongono l’allontanamento del minore dai genitori “, senza che lo abbia stabilito alcuna legge dello stato.

E’ avvenuto per un passaparola? Per abitudine? Per comodità? Per incompetenza? Questo non possiamo saperlo, quello che è certo è che “il supremo interesse del minore” è andato via via scemando, per lasciare spazio al supremo interesse di altre figure che, di fatto, alimentano e amplificano il conflitto fra gli ex coniugi, punendo però soltanto i loro figli.

Non è poi da sottovalutare il fatto che la macchina messa in moto nelle separazioni conflittuali, anche in assenza di una contesa per l’affido dei figli, è estremamente costosa.

Consulenti tecnici, consulenti di parte, psicologi, avvocati, sono tutte figure di cui i genitori avranno bisogno. Poi, qualora venisse sottratto loro il figlio o i figli, i separati dovranno pagare anche la casa famiglia, il cui costo medio è di circa 3000 euro al mese a bambino. Se i loro introiti non fossero sufficienti, sarà il comune a pagare in parte o interamente la retta. Quanto possa durare la permanenza di un figlio di genitori separati in una casa famiglia è un rebus. Ci sono bambini che sono in casa famiglia anche da 4 anni, tanto che il Garante per l’Infanzia del Lazio, due anni fa, ha ordinato una sorta di censimento sui minori ospitati nelle case famiglia, per avere finalmente dei dati sulle ” detenzioni ingiustificate”.

In una trasmissione radiofonica di qualche giorno fa, il risultato della “ingiusta detenzione” di bambini innocenti, è emerso in modo drammatico in una telefonata fra una mamma e la sua bambina rinchiusa in comunità su ordine del tribunale dei minori di Roma alla vigilia dello scorso Natale. La colpa della bimba? La separazione conflittuale dei genitori!

Così, un giorno, questa bimba che viveva con la mamma, andava bene a scuola e stava benissimo, si è vista portare via per essere rinchiusa in una comunità per minori in difficoltà, anche se lei di difficoltà non ne aveva. Le richieste di aiuto che questa bambina lancia dal telefono alla mamma, sono strazianti, disumane, spaventose. “Mamma, ti prego, portami via” , grida questa bambina, e in quel grido che le si strozza in gola vedo qualcuno che nell’ombra sorride soddisfatto, mentre qualcun altro continua a ripetere che i tribunali pensano soltanto “al bene supremo del minore.”

Autore Roberta Lerici-2 marzo 2012

www.bambinicoraggiosi.com

Pubblicazione,da parte dell’Istat,della Relazione Divorzi e Separazioni 2011

Tutela delle donne dopo la separazione…Il nostro pensiero


A chi dice che in Italia esiste una legge che tutela solo le donne dopo la separazione, vorremmo rispondere con i dati appena pubblicati da una fonte accreditata e certa , l’Istat, Relazione Divorzi e separazioni anno 2011 e altri dati pubblicati dalla Caritas italiana .

Le separazioni che si concludono con l’assegno di mantenimento al coniuge (di solito, il marito alla moglie) sono 1 su 5 (21,1% dei casi nel 2009). In 4 casi su 5 nessuno dei due coniugi si deve niente. Solo due anni prima (2007) le separazioni con assegno al coniuge erano il 27,1%, un po’ più di 1 su 4. Va detto che, nella serie storica dal 2000 a oggi il 2007 è stato l’anno di punta.

Se si guardano le diverse aree geografiche si vede un cambiamento negli ultimi tre anni: il Nord Est è passato dal 22% di assegni al coniuge del 2007 al 16,6% del 2009; il Nord Ovest dal 22% al 17,3%, il Centro dal 30,7% al 22,2%, i! l Sud dal 34,6% al 28,1, le isole dal 31,3% al 25,3.

I numeri diminuiscono ulteriormente con il divorzio: quelli che si concludono con un assegno al coniuge (di solito alla moglie) erano il 15% nel 2007, il 13,3% nel 2008 e il 12,8% nel 2009. Poco più di 1 su 10.

Inutile commentare il dato che confuta del tutto le affermazioni che le donne restano ingiustamente a carico degli ex mariti/compagni dopo le separazioni. Semmai invece dobbiamo puntare l’attenzione su un fatto grave, certo, ma purtroppo strettamente legato a un discorso culturale tipicamente italiano: quello dell’abbandono del lavoro da parte delle donne per occuparsi della cura della famiglia – con e senza figli, e cio’ anche a causa di una scarsa o quasi inesistente politica del Welfare in italia. La prolungata assenza delle donne dal mondo del lavoro dovuta ai compiti di accudimento di casa e famiglia,non consente loro di rientrare a lavorare se non con grande fa! tica , non avendo una giusta preparazione, e ancor meno esperienza professionale.

A chi dice che “fare il padre , e’ un diritto e non un ‘elemosina” (cit. T. Timperi) , rispondiamo che e’ un diritto che le donne si conquistano ogni giorno, mantenendo, curando e dando ai figli cio’ di cui necessitano e cui la maggior parte dei padri separati (85%) invece non e’ interessata.

Come sostiene Marino Maglietta, socio onorario dell’AIMeF Associazione Italiana Mediatori Familiari e membro della Consulta Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza “Gianni Rodari”, “ci sono casi di grossi sacrifici da parte dei padri, ma vedo tante più donne separate in difficoltà per il disinteresse dei padri nei confronti dei figli. Sono padri che ci sono fanno male a tutti, anche a chi vorrebbe una legge più equilibrata sull’affidamento dei figli, e inducono la magistratura a scelte sbagliate”.

Maglietta stima nel 15% delle separazioni giudiziali la categoria dei padri emarginati, “il restante 85% è ben contento di fare il padre assente.

Ribatte Vittorio Vezzetti, Presidente di Adiantum, l’Associazione delle associazioni nazionali di tutela dei minori (dai Papà separati alle Mamme separate a Figli per sempre): “facciamo anche che siano il 10% del totale, si tratta sempre di 140-150.000 genitori massacrati dai Tribunali italiani”.

Gia’, perche dietro al grande clamore che molte associazioni fanno, ci sono un pugno di uomini, come dice Vezzetti, e moltissime donne , quell’ 85% i cui ex sono assenti: diamo quindi alle cose la giusta dimensione .

Il Sig. Timperi non si accontenta di ribadire, parlando della Fiction trasmessa su Raiuno ‘Saro’ sempre tuo padre’: <<Ho trovato alto il fatto che Raiuno, da sempre attenta alle istanze della societa’, abbia avuto il coraggio di fotografare questa emergenza. Al netto di inutili buonismi.>> ma va ben oltre << Gli sceneggiatori hanno lavorato bene. Anche se potevano osare di piu’. Approfondendo il discorso della madre malevola. Ma sarebbe stato chiedere troppo considerato che viviamo in Italia.>>

Stupisce il triste e gratuito sarcasmo misogino di Timperi, e ancor piu’ la strumentalizzazione che viene fatta da parte della Rai su temi tanto delicati che vengono trattati nella fiction con una leggerezza che non ci si puo’ permettere quando ci sono in ballo vite di minori e di donne dipinte sempre e solo come ‘arpie sanguisughe’, una strumentalizzazione sicuramente involontaria da parte della RAI, che e’ figlia del grande battage pubblicitario di cui le molte Associazioni si fanno portavoci sul web, schierandosi e insultando persino le donne e senza fare distinguo.

Riportia! mo qui solo alcuni degli esempi con cui nelle newsletter dell’associazione Genitori sottratti si fa riferimento alle donne: madre parassita, padre spremuto , moglie ‘ruba’ la casa del marito, figlia ‘lavativa’ maggiorenne ancora a carico del padre etc.

Al di la’ del sarcasmo gratuito, le madri malevole cui il Sig. Timperi fa riferimento sono quelle che l’Istat e la Caritas Italiana hanno fotografato

<< Le persone separate/divorziate rappresentano il 12,7% delle persone che si rivolgono ogni anno alla Caritas Italiana La metà di loro (50,9%) ha problemi di povertà. Il 13% vive con figli minori (ndr nella per la maggior parte dei casi vivono con le madri), ma se (purtroppo) si deve guardare su chi ricadono nella media i danni, “certamente esistono padri in gravi condizioni, ma i dati Istat ci dicono che sono le donne sole e con figli separate/divorziate le persone a maggior rischio di povertà e non lo afferma solo l’Istat ma anche altre ricerche”, come dice Linda Laura Sabbadini, direttore di dipartimento Istat.

I dati Istat sull’incidenza di povertà relativa del 2010 dicono che tra gli uomini separati e single è povero l’1,6%, dato che cresce al 3,5% tra le donne single separate. Il dato esplode in presenza di figli: le donne monogenitore sono povere nel 10,4% dei casi, dato che sale al 15,4% se il figlio è minorenne. Per gli uomini il dato statistico di povertà è in molti casi non significativo.

Sempre la Caritas Italiana dichiara che del 12,7% di separati/divorziati che chiede aiuto alla Caritas, il 66,5% è donna, il 33,5% è uomo e “non ci sono modifiche significative nel tempo di questo rapporto”, dicono all’Ufficio studi dell’organizzazione pastorale della Cei (Conferenza episcopale italiana), sottolineando che “noi non riscontriamo il fenomeno dei padri separati che ricorrono alla Caritas così come viene descritto. >>

A chi dice infine che i padri separati sono i nuovi poveri rispondiamo con quanto sopra denunciato dalla Caritas e aggiungiamo:

Istat ‘ Relazione separazione e divorzi 2011: il 75% dei padri separati non e’ in regola con il pagamento degli alimenti.

Nel 2008, solo il 24,4% degli uomini separati,divorziati o riconiugati ha versato regolarmente denaro per l’ex coniuge o per i figli, percentuale che sale al 36% se al momento della separazione erano presenti figli minori.

I versamenti sono stati effettuati per l’ex coniuge nell’8,5% dei casi e per figli nel 15,9%; quest’ultima percentuale sale al 26,4% se al momento della separazione erano presenti figli minori.

<<Sul punto della povertà dei padri, Chiara Saraceno, sociologa della famiglia cui si devono alcuni dei principali studi sul tema, ha una visione netta. “È vero – dice – che c’è una minoranza di papà separati non abbienti per i quali la separazione produce dei costi e diminuisce il tenore di vita solo per il fatto di pagare l’affitto perché la casa è rimasta alla moglie perché lì abitano i figli. Oggi però nei Tribunali si vede solo il flusso che esce dalle tasche dei padri e non si vede l’inadeguatezza di ciò che entra in quelle delle madri e non per cattiveria dei padri.

Spessissimo i giudici sono più simpatetici nei confronti di un padre piuttosto che interrogarsi sull’altra parte, i bambini mangiano tutti i giorni. È una guerra tra poveri, ma proprio perché la donna a volte ha lasciato il lavoro e ha dedicato più tempo alla famiglia che non al lavoro, la sua capacità di lavoro è diminuita: è la persona con lo stecchino più corto” >>

In conclusione comunque, a farne le spese sono quasi sempre i figli, di qualunque eta’.  I cambiamenti intervenuti nelle condizioni economiche della famiglia a seguito dello scioglimento dell’unione possono determinare difficolta’ di accesso per i figli all’assistenza medica, alle vacanze o ad attivita’ del tempo libero. In effetti, la maggior parte delle rinunce cui sono costretti i figli nei due anni successivi alla separazione dei genitori sono dovute a motivi economici: e’ questa la ragione che impedisce al 5% dei genitori di sostenere per i figli le spese mediche con la frequenza necessaria, al 14,7% di far loro frequentare corsi extra scolastici, al 16,1% palestre e centri sportivi, e al 24,1 % di far andare i figli in vacanza nei luoghi e per la durata che era loro abituale.

Il 9,3% dei genitori dichiara che, per motivi economici, almeno un figlio ha dovuto rinunciare a vedere amici per bere qualcosa o mangiare insieme con la frequenza abituale, il 13,1% ad andare al cinema, teatro, stadio ecc., e il 17,4% a spendere con regolarita’ una piccola somma di denaro per esigenze personali.>>

(Istat, Relazione divorzi e separazioni 2011)

 

Da sempre la nostra Associazione denuncia tutto ciò

La vita della madre sola è una invisibile e spesso silenziosa corsa ad ostacoli nella quale ci si autoelimina dal gioco prima di essere eliminate. Perché i ritmi degli altri e i propri non sono mai in sincronia. Perché si marcia a velocità diverse.

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La presunta sindrome di alienazione parentale

La presunta sindrome di alienazione parentale – Convegno di Firenze


La Sindrome di alienazione parentale si riscontra quando, nell’ambito di una separazione difficile, il minore si rifiuta di incontrare il padre denunciando abusi e violenze. Una presunta “malattia” inventata dallo psicologo americano Richard Gardner e che ora, denuncia il Movimento per l’infanzia, rischia di entrare nel nostro codice civile.

Firenze – Si chiama Sindrome di alienazione parentale (P.A.S.).

La si riscontra quando, nell’ambito di una separazione difficile, il minore si rifiuta di incontrare uno dei due genitori, generalmente il padre. Il bambino affetto da questa presunta malattia sarebbe in realtà manipolato dal genitore “alienato” fino al punto di essere convinto a denunciare violenze e abusi inesistenti. Una malattia vera e propria, secondo il suo inventore americano, deceduto nel 2003, Richard Gardner, e con lui quella parte (minima) di mondo scientifico che gli ha dato credito.

Si tratta invece di “Scienza spazzatur! a”, di “Junk scienze”, secondo gli esperti del Movimento per l’infanzia, e con loro la maggioranza del mondo accademico e psichiatrico.Professori, psichiatri, giudici e avvocati ne hanno dibattuto oggi in un affollato convegno all’Ordine dei Medici di Firenze.

Che la P.a.s. sia ufficialmente riconosciuta o meno come malattia, infatti, non è una circostanza priva di conseguenze. Da questa decisione dipenderà l’esito di centinaia di processi per affidamento e per violenza familiare.

«L’obiettivo della P.A.S. è quello di medicalizzare preventivamente il bambino che rifiuta di vedere il padre per motivi seri come violenze subite o di cui è stato spettatore – spiega Girolamo Andrea Coffari, presidente nazionale del Movimento per l’Infanzia – Così, un bimbo che si lamenta di abusi, anziché vedere riconosciuto il suo diritto di accertare la verità, viene considerato paranoico e malato con la diagnosi preventiva di una sindr! ome che non esiste».

In Italia c’è al momento un disegno di legge (n.957/2008) all’esame del Senato, che testualmente cita la sindrome come causa di esclusione dall’affidamento del genitore che avrebbe condizionato il minore.

«Se questa legge dovesse passare – aggiunge l’avv. Coffari – verrebbe introdotta nel nostro codice civile una malattia psichiatrica del tutto inventata per dirimere questioni legate all’affidamento dei figli».

La P.A.S. non è riuscita finora ad entrare nel DSM (Diagnostic and statistical Manual), l’elenco ufficiale universalmente adottato dalla comunità scientifica di tutte le malattie psicologiche o psichiatriche comprovate tali. Nonostante ciò capita, anche in Italia, che venga chiamata in causa da avvocati e consulenti giuridici come elemento dirimente in complesse pratiche di affido e separazione.

«Come se improvvisamente l’Italia e l’Europa si fossero p! opolate di madri che inculcano nei loro figli un odio verso il padre spingendoli a denunciare violenze inesistenti – conclude il presidente di Movimento per l’Infanzia – Non neghiamo che ciò possa accadere. Ma nei rarissimi casi in cui un genitore manipola la mente del figlio fino a fargli dichiarare falsità sull’altro genitore, si delinea un reato, quello di calunnia per interposta persona, che va accertato in un processo penale e non preventivamente diagnosticato come malattia mentale».

Insomma, una teoria tutta da dimostrare, ideata peraltro da un personaggio il cui nome è stato da molti accostato all’epiteto di “ideologo della pedofilia” per il contenuto ambiguo di alcuni suoi scritti. Idea che però rischia, se presa seriamente in considerazione, di negare le necessarie tutele ai minori vittime di violenza.

Fonte: www.stamptoscana.it

“Nella si! tuazioni di conflitto familiare l’interesse da mettere al centro della tutela è quello del minore”.

É intervenuto anche l’assessore al welfare Salvatore Allocca, stamattina presso la sede dell’Ordine dei Medici di Firenze, al convegno dal titolo ‘La “presunta” sindrome di alienazione parentale, PAS’, organizzato dal Movimento per l’Infanzia con il patrocinio della Regione.

La PAS, controversa disfunzione psichiatrica sarebbe una diagnosi che entra nelle perizie per l’affidamento dei minori, nei casi di separazione e divorzi conflittuali

Una sindrome che buona parte della comunità scientifica non riconosce come disturbo psicopatologico e che non è mai stata inserita nel DSM ovvero il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.

L’assessore Allocca ha dapprima illustrato brevemente i risultati dell’ultimo Rapporto sulla violenza di genere commentando che “l’aumento del numero di donne che si sono rivolte ai Cen! tri Antiviolenza è interpretabile da un lato in senso positivo, come abbattimento graduale della barriera informativa e culturale rispetto alla possibilità e volontà di condividere con qualcuno il disagio e lo stato di bisogno, e dall’altro come segnale che il fenomeno è in aumento”.

L’assessore ha poi spiegato che “è ancora troppo basso il numero di donne che decidono di denunciare. La cappa di silenzio che ancora avvolge questa triste realtà non accenna a dissolversi. Il dato del Rapporto è tuttavia una rappresentazione per nulla esaustiva del fenomeno”.

Allocca ha quindi spiegato che violenza di genere e PAS sono due fenomeni strettamente correlati, perchè le violenze familiari non si interrompono nel momento in cui la donna decide di separarsi. “Al contrario, se ci sono figli la violenza può assumere forme svariate, e paradossalmente ‘legalizzate’.

La recente rifor! ma del diritto di famiglia del 2006, sull’affido condiviso introduce il principio di bigenitorialità, principio che tutti riteniamo di grande valore ma che andrebbe applicato sempre tenendo in massima considerazione l’interesse superiore del minore. Invece – spiega l’assessore – arriviamo a situazioni al limite del paradosso per cui in base al principio, che diventa quasi più un diritto del genitore piuttosto che del minore, il genitore che ha in corso un procedimento penale per molestie, stalking, violenza, maltrattamenti sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare, può tranquillamente diventare genitore affidatario”.

Allocca ha quindi ricordato che all’interno delle nuove proposte di riforma del diritto di famiglia attualmente in discussione al senato c’è il tentativo di introdurre la PAS.

“Non voglio entrare nel merito di un tema medico-scientifico ma pongo questa riflessione: come può una presunta sindrome, non ricon! osciuta dalla comunità scientifica, essere introdotta attraverso una legge nel nostro ordinamento? Respingerei l’equivalenza di chi, opponendosi alla PAS, si oppone al principio di bigenitorialità. Credo che comunità scientifica ed operatori del diritto si stiano ponendo il problema della non applicabilità a situazioni complesse, come in caso di alta litigiosità dei coniugi, di una soluzione semplice o meglio, semplicistica, come appunto la PAS, peraltro considerata ‘scienza spazzatura’. Come già accaduto in altri paesi europei, che sulla PAS hanno fatto un passo indietro”.

Allocca ha perciò concluso il proprio intervento auspicando che venga fatta chiarezza su questi argomenti. “Un compito che rientra tra le prerogative di operatori ed istituzioni. Non esistono argomenti tabù, per i quali è limitata la discussione in nome di un’ideologia o di un falso mito, poichè la riforma del diritto di famiglia interessa tutta la soci! età e non soltanto gli addetti ai lavori, spesso portatori di istanze che poco hanno a che fare con quel principio di interesse superiore che la convenzione internazionale attribuisce al minore”.

Fonte: www.gonews.it

La presunta sindrome di alienazione parentale – Convegno di Firenze – 2012

Quando mamma o papà crescono un figlio da soli

Un gruppo e un sito per trovare soluzioni ai mille problemi della famiglia monoparentale.


«Quando devo prendere il treno – ha scritto Francesca, vedova con tre figli – non ho nessuna agevolazione. Senza il padre non rientriamo nella categoria famiglia, mentre per la tariffa di gruppo siamo pochi». «Volevo diminuire la rata mensile del mutuo – racconta Sabrina, sola da un anno – ma la penale è troppo alta». «Per riuscire a dare il cognome del padre a mio figlio, anche se i suoceri erano d’ accordo, ho dovuto effettuare un costoso esame genetico e avviare una lunga pratica», è la testimonianza di Laura, che ha perso il fidanzato prima di sposarsi.

Sul forum di www.genitorisoli.it, ogni sera, approdano decine di donne e uomini alla ricerca di una mano, un consiglio, un aiuto. Sono mamme e papà che per motivi diversi crescono i figli da soli. Chi per la perdita del compagno di vita, chi ha scelto o si è trovato genitore single. Scrivono per condividere la fatica, a volte il dolore e per parlare dei loro bambini. Dietro ai racconti delle difficoltà quotidiane c’ è anche la frustrazione di non vedere riconosciuta, a nessun livello, la loro condizione. Da queste mail è nata l’ idea di un’ associazione: un gruppo che offra sostegno e spazi di incontro, ma anche che lavori per sensibilizzare l’ opinione pubblica e mettere a fuoco proposte di legge. «La famiglia monoparentale non gode di nessuna agevolazione», spiega Rossella Catanesi, presidente della neonata associazione «Genitori Soli» «Non sono previsti permessi retribuiti dal lavoro, mancano esenzioni sanitarie, facilitazioni per le scuole, sconti sugli ingressi ai musei o ai cinema. Nessuno considera che le spese, identiche a quelle che affronta una coppia, ricadono su un’ unica persona. Ci siamo uniti per questo. Una voce corale ha più forza per vincere l’ indifferenza, istituzionale e legislativa, che circonda le madri e i padri soli». Marta Ghezzi

Ghezzi Marta

Pagina 59

(30 marzo 2004) – Corriere della Sera

http://archiviostorico.corriere.it/2004/marzo/30/Quando_mamma_papa_crescono_figlio_co_7_040330104.shtml

Povertà ignorate

Povertà ignorate: le madri sole


 “Il 3 dicembre 2002 ho perso mio marito, restando da sola in attesa di nostra figlia. In quel momento ero incinta di pochi mesi e non capivo assolutamente che cosa significasse essere un genitore solo: dovevo sopravvivere a un dolore fortissimo e già in questo il supporto era minimo”. Poi è arrivata Emanuela, “così simile a tutti e due e così inconsapevole tanto del dolore vissuto prima della sua nascita quanto dell’amore che l’aveva resa possibile. Sono stati mesi difficilissimi, ma ero più forte perché potevo stringerla fra le braccia e capivo che avrei dovuto cominciare a vedermi come mamma e non come vedova, come donna che sarebbe stata capace nuovamente di sorridere”.

È iniziata così la seconda vita di Rossella Catanesi: una nuova vita da mamma sola. Fino alla sua scomparsa prematura nell’agosto scorso, un’esistenza felice, forte del sostegno della famiglia d’origine e pronta a mettere a disposizione degli altri la propria esperienza attraverso “Genitori soli” (www.genitorisoli.it), l’associazione fondata nel 2004 insieme alla sorella Ines – che oggi continua la sua battaglia – nata con l’obiettivo di aiutare le famiglie monoparentali a districarsi tra lacune legislative e pubblico disinteresse. Perché essere madri sole può voler dire molte cose: un compagno che non c’è più o che non c’è mai stato, un matrimonio finito in divorzio.Sulla quotidianità di tutte, però, grava un incubo comune: la povertà, se va bene di tempo, se va male di tempo e di risorse. Lo dice l’Istat nell’approfondimento “Profili e organizzazione dei tempi di vita delle madri sole in Italia”, pubblicato nel 2005: tra le madri sole con figli minori a carico, l’incidenza di povertà è pari al 12,4%, quasi due punti in più rispetto alla media nazionale. Un dato allarmante, perché relativo a una categoria sociale in crescita. Se nel biennio 1993-1994 i nuclei monogenitore erano 1 milione 775 mila, nel 2003 il conteggio era già salito a 2 milioni. Certo, nel mucchio si trova anche qualche padre, ma l’83,9% dei genitori soli sono donne: separate o divorziate nel 39,5% dei casi, vedove nel 52,8% e nubili nel 7,7%.

L’identikit della madre sola descrive una donna meno istruita e più occupata, meno soddisfatta della propria vita quotidiana, soprattutto al Sud, ma detentrice di un piccolo vantaggio: può permettersi di dedicare al lavoro familiare “solo” 5 ore e 12 minuti della sua giornata, a fronte delle 6 ore e 44 minuti richiesti alle madri in coppia con figli. Nella famiglia italiana, insomma, il coniuge è ancora un peso e il tempo della donna si avvantaggia dell’assenza del marito. Meglio sole che male accompagnate, verrebbe da dire. Ma l’ironia, in questo caso, è davvero una magra consolazione.

In un Paese di santi, poeti e inguaribili mammoni, ci si aspetterebbe che negli anni la retorica pro-familista bipartisan sia stata accompagnata da adeguate misure a sostegno della maternità. E invece aspetta e spera.

Che siano sposate, vedove o nubili, lavoratrici o disoccupate, l’Italia riserva alle madri un unico assegno di 1.440 euro indipendentemente dal reddito, da richiedere al comune di residenza entro i primi 6 mesi di vita del bambino. Qualcosa è lasciato alla discrezione dei poteri locali, che nella migliore delle ipotesi intervengono con un contributo di circa 300 euro. Poco importa, poi, se per mantenere madre e figlio siano necessari almeno 1.000 euro al mese: chi ha voluto la bicicletta, si faccia animo e pedali.

Manco a dirlo, in gran parte Paesi europei la situazione è decisamente migliore. Come in Olanda, dove lo Stato aiuta le madri con un assegno mensile che oscilla tra gli 800 e i 1.000 euro al mese, il pagamento di metà delle spese scolastiche e di tutte le spese mediche del bambino fino al compimento della maggiore età. O in Inghilterra, patria del Welfare State: indipendentemente dalla composizione della famiglia e dal reddito, ogni madre percepisce 95 euro al mese per il primo figlio e 13,50 euro per ciascuno dei successivi. Alle single mothers che lavorano sono garantiti un contributo mensile calcolato in base allo stipendio e alle spese annuali e il pagamento delle spese per il bambino, dalla scuola ai vestiti.

Se la donna non lavora, il governo si fa carico anche dell’affitto della casa. Dalla prospettiva italiana, praticamente un miraggio. Che diventa un sogno ad occhi aperti quando si guarda alla Germania, dove ogni famiglia percepisce un contributo base di 154 euro al mese per il primo figlio fino alla maggiore età o fino alla fine degli studi. Per i primi due anni successivi alla nascita del bambino, inoltre, la madre riceve dallo Stato 300 euro mensili perché impossibilitata ad andare al lavoro. Un trattamento a parte è riservato alle ragazze madri: se vivono ancora presso il domicilio dei genitori, possono contare su ulteriori 700 euro al mese di mantenimento, che si trasformano in un appartamento con tanto di arredamento essenziale nel caso in cui desiderino rendersi autonome andando a vivere per conto proprio. Senza dimenticare il contributo alle gestanti: 54 euro al mese a partire dalla dodicesima settimana.

Il nuovo paradiso delle famiglie, però, si trova all’ombra della Tour Eiffel: alle mamans di Francia è riservato un contributo mensile di 162 euro, che può trasformarsi in un vero stipendio di 700 euro nei casi di maggiore disagio. “Un investimento per il futuro e non un costo”, è stato definito dal governo di Parigi. E infatti la République è attualmente il primo Paese in Europa per natalità a pari merito con l’Irlanda.Un modello virtuoso e di provato successo appena oltre la soglia di casa nostra, insomma.

Ci si chiede quando anche da queste parti qualcuno si degnerà finalmente di prenderne esempio.

 

Lunedì 08 Novembre 2010 15:43 –  di Gabriella Poggioli